Filo da tessere…

 

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Riprendiamo il filo un mese dopo il Consiglio Nazionale.

E  come #piugiusto ripartiamo da:

– una interlocuzione con quanto emerso finora

– il blog come archivio aperto dei congressi territoriali #nientepaura2016

– il blog come spazio di dibattito sul mondo #piùgiusto

– il blog come prosecuzione di ciò che è stato finora #cheAcliservono

Sulla prima (come sollecitato anche da alcuni) scriveremo qualcosa noi, nei prossimi giorni.

Sulla seconda crediamo che le tesi e gli orientamenti congressuali territoriali possano essere interessanti da leggere e commentare. Rilanceremo ciò che troveremo già pubblicato e ciò che i territori riterranno di inviarci.

Sulla terza l’idea è uno spazio libero comune a tutti quelli che lo desiderano. Diciamo come se….

Come se fossimo soci di una stessa associazione. Che si occupa di azione e promozione sociale. E servizi. E politica…  

Come se avessimo voglia di incontrarci “al circolo”. E chiacchierare e discutere (anche appassionatamente) del mondo e di noi, bevendo un caffè o una birra o un bicchiere di vino. Dopo aver letto il giornale, di carta o online che sia. 

Noi partiamo a breve. E vale interloquire e commentare (su blog o sui social). E vale proporre post propri.

Non articoli approfonditamente studiati. Spunti di riflessione. Dialoghi. Rilanci di cose lette che possono essere interessanti. Sul mondo, e non non solo su di noi.

Sulla quarta prosegue come è stato. Con l’invito (vista la fase congressuale più calda) a distinguere ciò che ha senso sia oggetto di dibattito pubblico da ciò che non ne ha. E a cercare i modi per coniugare la libertà di espressione e partecipazione con il rispetto e lo spirito costruttivo.

Da un punto di vista pratico non ci saranno sezioni divise. Resta un blog unico. Ma i post saranno attribuiti alle diverse sezioni attraverso tag. E chiunque voglia scrivere basta che mandi una mail a piugiustoacli@gmail.com.

Ci diamo un tempo per sperimentare. Da qui a fine gennaio, per un mesetto. E vediamo come va. Sapendo che ci sono di mezzo le vacanze, l’avvio dei congressi territoriali ed una crisi da affrontare.

Noi pensiamo che dalla crisi si possa uscire solo affrontandola con decisione nell’immediato, ma anche costruendo tutti assieme un sogno più grande e più alto. Un sogno che diventi il nostro “grande compito”.

Stefano, Santino, Paola, Andrea, Roberto, Matteo.

 

 

 

 

 

Niente Paura

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Il Consiglio nazionale delle Acli del 27 e 28 novembre a Roma ha convocato il 25′ congresso dell’associazione.

Un percorso intitolato Niente Paura, coinvolgerà tutte le realtà territoriali e si concluderà a Roma il 6-7-8 maggio 2016.

Gli orientamenti congressuali sono stati approvati dall’unanimità dei presenti (1 astenuto) e con mandato alla Presidenza Nazionale di aggiustamenti sul testo e sul sottotitolo per tenere conto di quanto emerso dal dibattito. 

Visto il contesto di crisi e la volontà condivisa di impegnarsi per una maggiore sostenibilità economico finanziaria di sistema è stato anche dato mandato alla Presidenza di tenere aperto ancora per un breve periodo la ricerca di soluzioni organizzative per il congresso che permettano un ulteriore risparmio dei costi. Compresa l’ipotesi di una località differente da Roma.

Stante le successive versioni finali e le elaborazioni grafiche, ci sembra utile condividere, in ottica di trasparenza e chiamata a partecipazione di tutti al dibattito:

A tutti e tutte, buon congresso!

 

Guarda che cielo che hai. E guarda dove vai!

15295339502_a46a136f8f_oSe non ti piaci, vedrai, non cambierai mai. Guarda che cielo che hai. Guardati e guarda cos’hai. Guarda dove vai!

Vasco

Un mese fa ci siamo chiesti:

Un Paese libero, creativo, partecipato, solidale: più giusto!

Che sfide sociali raccogliere per costruirlo…

Che Acli servono per affrontarle…

Oggi consegniamo simbolicamente al dibattito congressuale www.piugiusto.org con il contenuto dei 48 posti arrivati. Che contengono immagini, storie, riflessioni, spunti ed esperienze diverse. Punti di vista in cui riconosciamo anche convergenze ma che non vogliamo accomunare o forzare in una linea comune. E che non sono riassumibili. E non sono di nostra proprietà. Sono un patrimonio a disposizione di tutta l’associazione. Sono di dirigenti e di soci, di lavoratori e altri interessati. Per questo ci piace entrino, anche formalmente, in un Consiglio Nazionale.

E poi aggiungiamo alcuni nostri spunti. Non un documento. Un contributo aperto su alcuni temi e interrogativi che ci paiono emergere e che possono aiutare a portare altre riflessioni al dibattito comune.

  1. Ragionamenti di fine mandato

Tre anni fa si sono scontrate due coalizioni. Quella che ha vinto aveva al centro della propria proposta:

  • emergenza associativa
  • risanamento economico
  • autonomia politica

Su tutto ciò occorre fare una verifica ed essere verificati, sapendo che, nonostante le cose buone fatte, oggi non ci si può dire soddisfatti. E ci si deve assumere collegialmente la responsabilita’ di un insieme di persone e di punti di vista, locali e nazionali, che non sono riusciti a diventare gruppo come avrebbero dovuto.

Inoltre ci troviamo oggi a fare i conti con una crisi che e’ diventata di sistema e che richiede di essere affrontata senza sconti, promuovendo non una piccola azione di riforma ma un profondo ridisegno complessivo. La cui efficacia e’ legata alla presa in carico complessiva di tutta l’organizzazione nel suo insieme e ad una gestione dei tempi oggi per le Acli inedita.

2. Spunti per allargare il dibattito stringendolo alla ricerca dell’essenziale dell’essere e fare le Acli.

Le cose di cui non possiamo fare a meno entro maggio sono molte. Ne sottolineiamo, per ora, tre che ci paiono emergere e che ci piacerebbe entrassero in confronto con i materiali del congresso: gli Orientamenti, il documento Le Acli in trasformazione, le proposte dell’Assemblea strordinaria.

CHI VOGLIAMO ESSERE

Una risposta che ridisegni l’essenzialità delle ACLI oggi. L’abc del nostro essere, la traccia di una identità e mission complessiva per tutta l’organizzazione. Non per chiudere definitivamente l’argomento ma per farne l’ossatura di un processo di co-costruzione dinamica e di dialogo continuo. 

COSA VOGLIAMO FARE

Una risposta che recuperi i presupposti culturali e giuridici di nascita del nostro agire promuovendo servizi di organizzazione di diritti e tutele. Che riscopra il servizio come componente indispensabile del fare associazione e movimento. Movimento delle persone che incontriamo, partendo dai più deboli e dalla comunità che viviamo.

Una risposta che ci faccia smettere di essere un condominio di tante imprese e associazioni e torni ad essere dialogo, azione e cammino comune di differenti esperienze, anche rimettendo insieme parti, tessere e imprese. Sfidando le istituzioni al cambiamento e non irrigidendo noi stessi in maglie giuridiche strette.

COME VOGLIAMO ESSERE

Una risposta che ridisegni stile e sostenibilità dell’organizzazione. Con proposte concrete in merito a redistribuzione di fondi, presenza territoriale, sistema di autonomie ed identificazione di attività e fondi di finanziamento anche nuovi.

Una risposta che delinei la possibilità di presenza di base sul territorio, il nostro associarsi non come sola tessera, ma come condividere una responsabilità, e un cammino di gruppo, alleggerendo il carico di struttura e formalità.

  1. Proposte di metodo

Il congresso non è un evento. E’ un processo. Ed e’ il momento in cui ci mettiamo a pensare insieme le Acli nel loro essere un progetto che va oltre se stesse e guarda al suo senso sociale, spirituale e democratico. La materia del congresso e’ la democrazia e sono le scelte. La sostanza della democrazia e’ la partecipazione e non è compiuta senza un reale dibattito pubblico.

Per questo nei prossimi mesi vogliamo:

proseguire l’esperienza del blog come luogo di raccolta di contributi e materiale di questo lavoro congressuale e come spazio di confronto e dibattito.

rintracciare nei contributi raccolti e dal dibattito congressuale temi che diventino incontri e dialogo nel territorio e tra territori.

Identifichiamo qui alcune proposte che ci sembrano caratteristiche per tema e metodo e che rilanciamo a chi e’ interessato:

  • un momento di 70esimo non dedicato alla celebrazione o ai festeggiamenti ma che provi a ricostruire parallelamente il periodo dal 1990 ad oggi del Paese e delle Acli. E lo faccia diventare seria analisi capace di orientare, senza errori grossolani, le strategie.
  • Alcuni momenti in territori che lo desiderano, nei percorsi congressuali, per focalizzare dimensioni essenziali della proposta. In occasioni aperte a tutti e offrendo all’associazione intera l’esito della riflessione.
  • Alcuni momenti non strutturati, aperti all’iniziativa di singoli aclisti, lavoratori o interessati, di confronto online anche con il contributo di esterni. 

Ed infine la proposta di raccogliere l’invito del convegno ecclesiale di leggere assieme l’Evangelii Gaudium.

Passa per il buio, passa per l’amore, passa per la morte, vai per la tua strada, senza paura. E’ una canzone brasiliana di Vinicius de Morae e Toquinho e Sergio Bardotti.

La paura c’è. Ci attraversa. E’ un tratto distintivo del nostro tempo. L’unico modo per non esserne sopraffatti è farci i conti ed affrontarla. E sortirne assieme.

Stefano Tassinari, Santino Scirè, Paola Villa, Andrea Luzi, Roberto Rossini, Matteo Bracciali. 

Grazie. E avanti.

#piugiusto esiste dal 17 ottobre.

In un mese (circa) abbiamo pubblicato 48 post e 13 commenti. In cui possiamo rintracciare veramente un universo di “autori vari”.

Uomini e donne, giovani ed anziani, dirigenti e soci e lavoratori. Gente “di palazzo” e “di periferia”. Di associazione madre, associazioni specifiche ed imprese. Nord, centro, sud. E pure chi, da fuori, ha voglia di collaborare. Segno del patrimonio di cui le Acli dispongono. E che bisogna trovare i modi di valorizzare. 

In un mese ci sono state 8841 visite.

E 3231 visitatori.

E a voler fare al volo una prima analisi delle parole esce così:

piugiusto parole

Noi, a caldo, siamo  contenti di aver avviato questo processo e di come fino ad ora si è sviluppato.

E ringraziamo tutti coloro che in varia forma online ed offline hanno partecipato e seguito.

Il nostro obiettivo ora è comporre un contributo che rispetti e valorizzi i punti di vista diversi e continui ad arricchire il dibattito.

Ci prendiamo un tempo minimo per lavorarci perché, appunto, il futuro ancora non esiste. Va creato.

Ma una cosa è certa. Non finisce qui.

Grazie. E avanti.

Stefano, Santino, Paola, Andrea, Roberto, Matteo.

Il futuro non esiste, va creato.

Il futuro non esiste, va creato.

di Matteo Bracciali – Coordinatore Nazionale Giovani delle ACLI

Quale futuro vogliamo per il nostro Paese?

Se non rispondiamo a questa domanda, tutto quello che abbiamo pensato sul futuro della nostra associazione e’assolutamente inutile, autoreferenziale, passatista. Ma non perche’ ci sia qualcosa di male in quello che siamo stati, anzi. Ma perche’ non piu’ riproducibile.

L’esempio piu’ calzante e’ proprio la nostra unita’ di base, il circolo. 50 anni fa, era la risposta a due domande: aggregazione, in un tempo in cui era l’unico luogo di incontro della comunita’, e tutela, quando la chiave valoriale che rappresentiamo era sufficiente per generare appartenenza.

Penso che ancora oggi quel modello tradizionale sia strategico, ma il presente lo ha superato; su come sia cambiata l’aggregazione non mi dilungo, ma e’ evidente che non siano piu’ solo i luoghi fisici quelli da presidiare in modo capillare. Sulla tutela e sull’appartenenza mi fermo un attimo: la tutela diventa soluzione del bisogno materiale di una persona (purtroppo sempre piu’ spesso solo questo) e la nostra base valoriale diventa fondamento per la scelta del bisogno e della soluzione. Su questo abbiamo una grande opportunita’ per ricostruire appartenenza.

Siamo riconosciuti dalle nostre comunita’ nella misura in cui riusciamo ad incidere nella quotidianita’ della vita delle persone. E diventiamo riferimento politico non per la C o per la L del nostro acronimo, ma per la capacita’ di incarnare i nostri carismi in risposte concrete, misurabili e a tempo alle necessita’ del nostro tempo.

Il futuro sara’ sempre piu’ dematerializzazione dei rapporti e il nostro carisma sui servizi di comunita’ e di sostegno potrebbe avere una chiave di sviluppo molto interessante: riuscire a tenere insieme la modalita’ online per la costruzione di reti di relazione e quella offline per l’offerta di servizi che saranno sempre piu’ ad alto impatto sociale, come la cura di chi rimane solo, il sostegno alle dinamiche familiari sempre piu’ flessibili (o precarie, per verita’) e l’orientamento alle opportunita’.

Questo non significa perdere politicita’, tutt’altro. Ma non possiamo pensare di esprimerla solo dentro agli organi dell’associazione. I partiti, proprio per l’incapacita’ di tenere insieme idea/azione non esisteranno piu’ tra qualche tempo, per essere sostituiti da contenitori di individui anzi, di individualita’. Il nostro ruolo sara’ determinante nella promozione di una societa’ solidale, giusta ed accogliente se saremo capaci a rendere coerente sempre di piu’ la nostra azione sociale e la nostra capacita’ di elaborazione politica. Mi soffermo un attimo su questo punto.

Siamo dotati di una rete territoriale formidabile fatta di persone che non solo vivono l’associazione, ma sono opinion leader locali che possono costruire, per un pezzetto, reti e visibilita’. Abbiamo competenze e strumenti per essere protagonisti del mainstream di questo Paese, ma siamo troppo tradizionali nella costruzione delle campagne di opinione che promuoviamo. Ed il rischio e’ molto alto: quello di non essere piu’ un movimento popolare, ma identificato come una elite culturale, aggrappata al proprio passato, lontana dal dibattito pubblico.

Piu’ orizzontali, piu’ semplici, piu’ ACLI. A queste sfide si risponde con una rivoluzione organizzativa. Abbiamo bisogno di un soggetto economico e politico territoriale di riferimento che abbia capacita’ di lettura del contesto, elaborazione di soluzioni, gestione dei servizi erogati. Autonomo, ma accompagnato dal livello nazionale per evitare derive che la nostra associazione purtroppo ha gia’ vissuto. Abbiamo bisogno un organo di governance nazionale formato e snello in grado di dare indirizzi nei tempi di vita delle persone e non piu’ nei tempi delle ACLI. Abbiamo bisogno di persone che si appassionino alle nostre scelte, che sottoscrivano i nostri appelli, che partecipino alle nostre campagne d’opinione. C’e’ bisogno di piu’ societa’ e noi siamo la risposta. Perche’ il futuro non esiste, va creato.

 

 

Il gioco collettivo riesce a far emergere i pregi di ognuno (Julio Velasco)

13035589145_5480f12d7d_odi una lavoratrice Acli 

Chiedo scusa dal principio, perché più che un discorso sensato, il mio sembrerà un flusso di coscienza, che viene dalla pancia…la pancia di una persona che vive le acli da dipendente e non da aclista.

Da ex-giocatrice di pallavolo incallita, credo che la metafora degli sport di squadra possa offrire degli spunti (sicuramente banali, ma probabilmente che proprio per questo a volte restano solo sottointesi) di riflessione sulla metodologia del cambiamento a cui le ACLI aspirano.

Julio Velasco, ben lungi da ragionamenti moralistici, dalla sua posizione di dirigente di una squadra di calcio, sosteneva che il “gioco di squadra” diventa fondamentale in una società cosi competitiva, globalizzata e individualista; ma sottolineava anche che il mero “tutti per la causa” non è sufficiente. Tattica, condivisione degli obiettivi e dei risultati attesi, rispetto, fermezza e consapevolezza dei limiti e dei pregi, sono gli elementi fondamentali per un gioco di squadra vincente.

E’ chiaro che in questo momento storico di mutazioni sociali e di evoluzione delle priorità collettive ed individuali, le ACLI hanno bisogno di ritrovare la propria dimensione nella e per la collettività.

Ma quali sono le sue tattiche, i suoi obiettivi? I pregi, i difetti? Si riesce a mettere insieme i pezzi e definire una strategia condivisa, anzi, condivisibile?

Prendendo spunto dal lessico della progettazione, quali sono i suo obiettivi specifici, i risultati attesi e gli indicatori oggettivamente verificabili e misurabili, la sua strategia? Perché forse di un progetto si tratta e come tale ha bisogno anche di partner per la realizzazione, sia interni che di altri “portatori di interesse” che non necessariamente gravitano nell’universo ACLI.

Ma a parte tutto, senza una guida chiara ed un gioco ben delineato, conosciuto e condiviso da tutti, e non solo dall’allenatore, non si va lontani. Il gioco di squadra non è “il capo pensa e i giocatori eseguono”; un buon allenatore “costruisce un gioco in collaborazione con i giocatori”, fino a quando i giocatori arrivano al punto di sapersi muovere per conto loro perché conoscono la tattica.

In diversi post si è fatto richiamo alla pluralità delle ACLI che spesso si fa fatica a “governare”, o meglio, sulla quale a volte non si riesce a far sintesi, o che comunque apre la strada a doppioni, scarsa efficacia degli interventi, autoreferenzialità, ecc., ecc. Di nuovo: quale sarà la tattica dell’”allenatore” delle ACLI? I “giocatori”, i pezzi delle ACLI fino a che punto sentono di poter o voler collaborare alla costruzione della tattica?

Certo, il lavoro di costruzione e condivisione è difficilissimo, soprattutto nell’universo mondo delle ACLI, ma sempre prendendo in prestito le parole di Velasco, “le difficoltà non devono essere viste non come un qualcosa che ti impedisce di fare, ma come la possibilità di allenarsi a superarle”. Il tutto spinti da valide motivazioni, che definirei in primis basilari, cioè i valori delle ACLI, poi economiche (non nascondiamocelo) ed infine “la sfida”.

E’ indubbio che chi fa le ACLI è mosso da una condivisione dei valori e della mission, e che ci siano persone a cui piace fare quello che fanno. Ma siamo sicuri che questo basti?

Ad esempio, il “lavoro” immagino sia (fino a prova contraria), ancora uno dei punti fermi dell’Associazione, ma siamo sicuri che sia ancora profondamente rispettato? Siamo sicuri che tra le priorità dell’allenatore ci sia ancora il miglioramento delle condizioni lavorative e dell’ambiente di lavoro? Che il lavoratore non sia una mera risorsa che ha un costo o che il lavoratore consideri il proprio posto di lavoro solo come una fonte di reddito? Dove sta qui il valore aggiunto di quello che si fa rispetto ad una semplice azienda?

Non demonizzo assolutamente la strada aziendalista che l’Associazione può voler intraprendere, anzi, che a tratti ha già intrapreso; mi interrogo solo sul contesto valoriale in cui ci si vuole muovere.

Ultima tra le motivazioni c’è “la sfida”, motivazione che personalmente sento molto: credo che per “rinascere” ci sia un gran bisogno di sentirsi parte di qualcosa che vada al di là della routine, di competere per una impresa straordinaria”.

Quale sarà l’impresa straordinaria delle ACLI?

A quattro mani

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Di Mauro Platè e Cristiana Paladini 

Un post a quattro mani, qualche spunto di riflessione condivisa sull’associazione, perché le Acli ci hanno accompagnati in questi anni di esperienza associativa, di crescita professionale (in modo diverso per ognuno), ma anche di vita familiare, facendoci maturare l’idea di un’associazione in cui sia possibile, e proficuo anche, desiderandolo, impegnarsi come soci e lavoratori e trarre da ciò un arricchimento.

Anche se le peculiarità della nostra esperienza non sono generalizzabili, siamo convinti che un tipo di coinvolgimento che tessa insieme dimensione relazionale, territorio e professionalità, rappresenti per l’associazione un punto di forza da valorizzare, non solo per le potenzialità (unite, inevitabilmente, ad alcuni limiti) che tale integrazione contiene, ma soprattutto in virtù delle possibilità di conoscenza e radicamento nelle comunità che questa modalità porta con sé e le conseguenti ricadute sul lavoro e soprattutto sulla progettazione.

In contesti dinamici in rapita evoluzione, che da un lato pongono vincoli stringenti sulle risorse e dall’alto sono caratterizzati da una domanda sociale crescente, le comunità meglio attrezzate sembrano essere proprio quelle in grado di interpretare la programmazione non strettamente come gestione di un budget predefinito ma come capacità di offrire strumenti per la connessione ed integrazione di reti e risorse, di conoscenze e bisogni inespressi.

Se le Acli hanno l’ambizione di porsi come attori coprotagonisti della promozione sociale sul territorio, in contesti complessi in cambiamento, questa apertura ad una programmazione partecipata e integrata nei luoghi, attraverso anche le persone e le loro relazioni, non può essere considerata secondaria.

Abbiamo visto aclisti “vecchi” e nuovi, in Italia e all’Estero, per il Servizio Civile, come collaboratori, come personale espatriato, per esperienze di volontariato, giovani (ci sono ancora i giovani intorno alle Acli), e non solo. Ma cosa succede dopo? Quando termina il rapporto lavorativo, o l’esperienza di volontariato, quando per motivi diversi le strade si dividono, in modo consensuale o meno, cosa rimane? Molti si sono allontanati perché hanno preso strade diverse, perché il legame associativo oggi, lo sappiamo, si fa più fluido e momentaneo, a spot, ad evento.

Alcuni sarebbero rimasti, alcuni avevano energie, competenze, esperienza per accompagnare il cambiamento di cui si parla. Abbiamo visto anche meno giovani, che in Acli hanno passato più di mezza vita, che hanno costruito relazioni, ponti, progetti, investito energie e tanto tempo. Li abbiamo visti andare via, perché in un momento di crisi associativa erano difficili da ricollocare.

Conosciamo cosa significa lavoro in tempi di crisi ed incertezza, siamo la generazione nata negli anni di piombo, quella dei giovani universitari del duemila, della speranza implosa dei movimenti e del ritorno alla partecipazione, la prima generazione di giovani adulti che ha conosciuto il precariato come forma di lavoro permanente. Eppure ci siamo convinti che un’associazione “cristiana di lavoratori” possa essere più di un luogo a cui dedicare qualche ora di lavoro e questa convinzione è nata proprio dalle persone e dai soci lavoratori che abbiamo incontrato.

In tal senso forse è necessario ragionare non solo su chi resta, ma su chi si allontana, sull’uscita di quanti hanno vissuto le Acli ed hanno contribuito in maniera differente a traghettarle nel presente. Se, come ci ripetiamo da anni, gli individui non sono numeri, è necessario riflettere sulle vie possibili di mantenimento dei legami. Per non perdere risorse, per non sprecare innovazione e competenze acquisite ma soprattutto, perché sono quelle persone, le loro esperienze, le reti che attivano ed hanno attivato a dare radicamento al progettare e corpo al rinnovamento.

Contro il realismo, la rivoluzione.

Contro il realismo, la rivoluzione.

di Enrico Fiori – Vicepresidente ACLI Toscana

Lo scorso 10 Novembre è deceduto all’età di 96 anni Helmut Schimtd, Cancelliere della Germania Ovest dal 1974 al 1982.Con lui scompare uno dei massimi esponenti della socialdemocrazia tedesca ed europea, un movimento politico-culturale che ha cercato di conciliare l’accettazione della democrazia parlamentare e del modello economico basato sulla proprietà privata e sul libero mercato, con la costruzione di uno stato sociale avanzato.

Schimtd fu uno dei protagonisti del Congresso di Bad Godesborg del 1959 in cui la SPD tedesca eliminò ogni riferimento al marxismo per adottare un programma di governo incentrato sul varo di una serie di riforme tese a rafforzare il mercato libero, la concorrenza effettiva, la libertà nelle sue varie forme. La socialdemocrazia tedesca ed europea ha dunque da tempo abbandonato le suggestioni rivoluzionarie per cercare di correggere le storture più evidenti del sistema capitalistico, senza attaccarne i fondamenti.

Capovolgendo uno slogan del ’68, il motto sembra essere “Siate realisti, chiedete il possibile “. Oggi il Papa chiamato “dalla fine del mondo” con parole e gesti significativi sembra mettere in discussione questo schema, in base al quale il capitalismo è una realtà comunemente e positivamente accettata. Questa traccia di riflessione proposta da Giovanni Bianchi durante l’ultimo Incontro di Spiritualità di Camaldoli, merita di essere approfondita.

Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che Bergoglio è cresciuto nel cammino pastorale e teologico della Chiesa latino-americana che già a Medellin nel 1968, a Puebla nel 1979 e a Aparecida nel 2007 ha affermato l’opzione per i poveri e la necessità della loro integrale liberazione. E oggi che è Vescovo di Roma insiste su questo punto,affermando “che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri” (EG48). Ma l’approccio di Papa Francesco non è soltanto caritatevole, bensì mira ad affrontare le cause strutturali della povertà: “Così come il comandamento” non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. “ Questa economia uccide” (EG48). E’ innegabile che si tratta di un pensiero critico che non punta ad ottenere dei semplici aggiustamenti, ma è diretto prefigurare un nuovo sistema economico.

Mentre politici ed economisti parlano di PIL e si interrogano su come rimettere in moto la macchina dei consumi, Bergoglio si batte contro una società che “riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo” (EG55), pressanti gli inviti a vincere la  “globalizzazione dell’indifferenza” e la “cultura dello scarto”.

Ma anche quando parla di altre tematiche, come ad esempio quella del lavoro, il Papa torna sempre al nodo di un’economia ingiusta e distorta. Parlando agli operai di Terni a proposito della disoccupazione, ha scandito: “ E’ la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro! “ E’ la spinta a questo poderoso cambiamento di pensiero e di strutture viene dalla fede, una fede che non è fatta di comode sicurezze, ma è rivoluzionaria come ha detto a Firenze e a Cuba.

Per inciso, nell’isola caraibica ha dichiarato: “ La nostra fede passa attraverso la tenerezza!” dimostrando di non temere che le sue parole venissero accostate a quelle di Che Guevara, il quale esortava a essere “ rivoluzionari senza perdere la tenerezza !”. Con l’enciclica “Laudato sì” Papa Francesco fa un ulteriore passa in avanti, unendo il “grido della terra”.

Si stabilisce così una sintonia fra l’oppressione dei poveri e lo sfruttamento selvaggio del pianeta, un tema ricorrente nelle ultime riflessioni della Teologia della Liberazione: “ I gemiti di sorella terra…. si uniscono  ai gemiti degli abbandonati del mondo”. In definitiva Bergoglio sembra non considerare il capitalismo come prospettiva ineluttabile per l’umanità e forse nemmeno auspicabile. Il  compimento del destino umano non risiede in un sistema capitalistico che schiaccia le persone e devasta la Terra. La situazione attuale non è una tragedia annunciata, ma una sfida perché sappiamo prenderci cura della casa comune e del bene comune.

 

Non voglio fare il dirigente

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Ho letto il post dal circolo, mi ci sono molto riconosciuto ma, non essendo più così nuovo, mi è venuta voglia di aggiungere un passaggio alla riflessione.

Sono abbastanza giovane (almeno per gli standard delle Acli, il che vuol dire che ho superato i 35 ma sono sotto i 50). Cerco di darmi da fare in molte cose nel circolo. Non sono troppo litigioso. Ed ho partecipato con piacere a qualche iniziativa formativa provinciale.
Credo sia per questi miei aspetti che negli anni ogni tanto mi è capitato che mi fosse proposto di ricoprire qualche carica all’interno delle Acli. Ma, almeno finora, ho sempre declinato l’invito procurando negli altri qualche stupore e un po’ di disapprovazione (come se il mio essere disponibile “per la causa” non fosse “completo”).
Perchè ho declinato?
1. Non ho tempo e il poco tempo che ho vorrei dedicarlo a cose che mi interessano.
2. Non ho particolari competenze di amministrazione e invece dando disponibilità da dirigente mi troverei addosso l’essere datore di lavoro di altre persone e responsabilità economiche e legali gravose.
3. Non mi pare che i dirigenti Acli che conosco siano persone particolarmente serene e felici e (siccome molti di loro sono persone oneste e piene di buona volontà) ho il timore che potrei anche io “ridurmi così”.
Ma, soprattutto, ogni volta che mi è arrivato l’invito ho avuto l’impressione che fosse una specie di “siccome non c’è nessun altro, se puoi fare tu”. Non ho mai avuto l’impressione che ci fosse un reale interesse per me, le mie idee o quello che io potrei portare. Non ho mai avuto l’impressione che si pensasse che io ero la persona adatta. La persona adatta era chiaramente altro ma, siccome non c’era di meglio… potevo andare bene anche io…
E non era un invito a condividere un grande sogno o un grande ideale.
Era l’invito a farsi carico del peso della gestione di una struttura pesante.
Forse le Acli dovrebbero riflettere anche su come fanno quella che chiamano “proposta associativa” e su come avvengono i percorsi e le proposte per diventare dirigenti.

L’idea di popolo nelle origini delle Acli

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Il Papa ha ricevuto nella sala Clementina i partecipanti alla conferenza promossa dalla Fondazione Romano Guardini nel 130° anniversario della nascita dell’illustre uomo di pensiero.

Non so quanti lo sanno ma la notizia ha un rilievo per le Acli.

Romano Guardini, negli anni ’40 del secolo scorso, è stato uno dei principali interlocutori dell’allora Mons. Montini nei contatti che hanno portato alla nascita delle Acli  e alla coraggiosa iniziativa della loro partecipazione alla CGIL unitaria. Solo gli apporti di uomini con grandi capacità di pensiero potevano rendere possibile una scelta così ardimentosa.

Papa Francesco nell’udienza ha affermato che “Romano Guardini, è un pensatore che ha molto da dire agl uomini del nostro tempo, e non solo ai cristiani”. 

Ed anche che  “Per Guardini, l’unità vivente con Dio consiste nella relazione concreta delle persone con il mondo e con gli altri intorno a se. Il singolo si sente intessuto in un popolo, cioè in una unione originaria degli uomini che, per specie, paese ed evoluzione storica nella vita e nei destini sono un tutto unico (da il senso della Chiesa, Morcelliana, Brescia, 2007, pag 21-22). La sua concezione di popolo si distingue nettamente da un razionalismo illuministico che considera reale soltanto ciò che può essere colto dalla ragione e che tende a isolare l’uomo strappandolo dalle relazioni vitali naturali. Il popolo , invece, significa il compendio di ciò che nell’uomo è genuino, profondo, sostanziale. Possiamo riconoscere nel popolo, come in uno specchio, il campo di forze dell’azione divina (da il mondo religioso in Dostoevschij pag 321)”.

Mi sembrava interessante da segnalare a segno che l’intreccio tra Acli e idea di Popolo affonda già dalle radici delle Acli.